Consulenti aziendali a partita Iva, “con lo smart working i clienti hanno ridotto le commesse e ci pagano con il contagocce”
Redazione
Commercialisti, psicologi, avvocati, project manager, esperti in formazione aziendale e riorganizzazione d’impresa stanno subendo flessioni importanti nelle quantità di lavoro e ritardi nei pagamenti. Roberto già prima della pandemia guadagnava circa 30mila euro lordi l’anno. “Ora la situazione è precipitata”
Sono commercialisti, psicologi, avvocati, consulenti del lavoro. Ma anche project manager, esperti in formazione aziendale e riorganizzazione d’impresa. E’ il popolo dei consulenti aziendali, per lo più partite Iva, che sta soffrendo la crisi con flessioni importanti nelle quantità di lavoro e ritardi nei pagamenti. Roberto, 44 anni, libero professionista che si occupa di formazione aziendale, va a avanti a stento. Già prima del Covid guadagnava circa 30mila euro lordi l’anno. Considerate tasse e contributi, navigava sui 1.500 euro al mese. Non fissi, naturalmente. “Ora la situazione è precipitata”, ammette lamentando un calo di commesse e la complessità di proseguire questo tipo di lavoro da remoto.
“I giovani consulenti sono in forti difficoltà – spiega Maurizio Monassi dell‘Istituto italiano di project managemenet (Isipm) – Eppure in una fase come questa ci vorrebbe certamente più progettualità a tutto tondo, più formazione in un mondo del lavoro che è già cambiato radicalmente rispetto al passato e in cui il posto fisso è lontano dalla realtà, soprattutto per i più giovani”. Francesca, psicologa, si lamenta soprattutto del calo della domanda di consulenza aziendale nell’organizzazione del lavoro. “Mi sarei attesa che con l’aumento dello smartworking ci sarebbe stata più formazione, più richiesta di competenze da parte delle aziende per riorganizzare il modello di lavoro. E invece lo smartworking si è stato spesso e volentieri tradotto semplicemente in lavoro da casa, senza obiettivi e senza una reale gestione della nuova modalità lavorativa sia in azienda che nel settore pubblico”. Per fortuna, per lei è aumentato il lavoro che viene dai piccoli clienti privati, psicologicamente provati da lockdown, dal peggioramento della qualità della vita e dallo stress sul lavoro. “Resta il fatto che i pagamenti sono con il contagocce e fare il recupero crediti dai clienti non è esattamente il mio mestiere”.
Alberto, invece, ha visto sfumare il contratto di consulente per la psicomotricità in una scuola privata che conta oltre mille alunni. Come riferisce il Coordinamento Libere associazioni professionali (CoLap), Alberto non è solo. Con il rischio di un nuovo lockdown, gli istituti parificati hanno tagliato i costi. E questo anche a dispetto del fatto che “la psicomotricità è un supporto importante per i bambini, soprattutto per quelli più fragili con disabilità”, proseguono dall’associazione. Per tutti resta il problema centrale di un futuro incerto. “Nella prima fase ci sono stati degli indennizzi per le partite Iva – precisa la presidente del Colap, Emiliana Alessandrucci – In realtà in quei mesi, i lavoratori incassavano fatture di oltre otto mesi prima. Ci sono ritardi enormi nei pagamenti. Persino nella pubblica amministrazione che dovrebbe saldare a 60 giorni, mentre in realtà impiega sei mesi per fornire il codice necessario al versamento dei compensi. Per non parlare del fatto che molti professionisti si trovano anche a dover fare una sorta di recupero crediti nei confronti di soggetti che sono poi i loro stessi clienti e che magari richiedono lavoro extra o ulteriori dilazioni di pagamento”. Secondo quanto riferisce il CoLap, il 44% dei suoi associati non è ancora rientrato al lavoro e l’80% di quelli che hanno ripreso l’attività conta di non riuscire a raggiungere i livelli pre-Covid prima di sei mesi. Un dato di fatto con cui necessariamente il governo dovrà fare i conti.
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