“Sempre legato a Gela e ai suoi splendidi tifosi”
Redazione
Fino a qualche decina di anni addietro, i suoi boccoli erano lunghi e neri. Riconoscibilissimi. Adesso (l’età avanza, anche per lui), il bianco ha preso il sopravvento. Tutto cambia col passare del tempo. E’ un esercizio naturale della vita. Così com’è naturale, per chi scrive, ricordarsi di un caro amico. E sentirlo parlare fa uno strano effetto, dopo parecchio tempo. Sorpreso della telefonata, non esita un attimo a rispondere alle domande. Lui è Carmine Donnarumma, campano di Castellamare di Stabia, calabrese d’adozione. Ha lavorato come direttore sportivo in tante piazze: da Ischia ad Acri, da Giarre a Lamezia, da Gela a Catanzaro. E’ stato osservatore anche per il Livorno e il Benevento. Adesso, assieme ad altri manager, opera per una società con sede a Londra. Si occupa di scouting a livello internazionale.
Tante tappe importanti. Quale la più rilevante?
“Lamezia e Gela. In questi due posti ho lavorato per circa vent’anni. Catanzaro mi ha affascinato e mi affascina ancora…”
Anni interessanti quelli vissuti a Gela. Nella stagione 1997/98 con Fabrizio Lisciandra presidente e Fofò Ammirata allenatore, in C2, con la Juveterannova, ribaltaste lo 0-3 di Chieti, salvandovi ai play-out, dinanzi ad un pubblico incredulo e festante. Fu una vera e propria impresa. Ce la ricordi?
“Certo che me la ricordo!!! Ho una vecchia videocassetta e ogni tanto me la rivedo e non ti nascondo che mi commuovo!!! Ti svelo un segreto: quella partita fu vinta dalla “gelesità” di quella squadra (Runza, Di Dio, Italiano, Comandatore, Conte, Ammirata ed altri ancora). Dall’amore dei gelesi, dalla passione di chi ha sofferto tanto e non può e vuole perdere una cosa bella che ha ottenuto. Ricordo un episodio per me determinate: arrivammo a Gela dall’Abruzzo il lunedì mattina; molti di noi andarono a dormire e si svegliarono nel tardo pomeriggio. Immaginate l’umore. Verso le 20 andai a cena in un ristorante che frequentavo spesso. Più per uscire che per cenare. Antonio, il proprietario del locale, si sedette al mio tavolo e mi disse: a duminica ni ’mangiammu!!! Non era solo il suo pensiero ma quello di tutta la città. Per tutta la settimana continui incitamenti: ce la facciamo, pacche sulle spalle, inviti a cena per starci vicino. Siamo arrivati carichi a molla. Questo è il vero segreto! Penso, anzi sono convinto, che in qualsiasi parte d’Italia non ci saremmo salvati, a Gela si!”
La stagione successiva, con Saro Foti allenatore, otteneste il nono posto e il campionato dopo, con il ritorno di Ammirata e con l’ingresso del presidente Arturo Carrabino, chiudeste al settimo posto. Si poteva fare di più?
“Si può sempre fare di più, ma bisogna accontentarsi di quello che si ha! Tante cose si apprezzano quando non ce le abbiamo più, chiaro no???”
Dopo quell’esperienza, sei ritornato a Gela nel 2009 (sempre in C2), dirigendo la squadra allenata da Nicola Provenza e presieduta dal compianto Angelo Tuccio. Settimo posto in graduatoria. Rimpianti?
“In questo caso ho rimpianti, è vero. Fummo chiamati dal grande Presidente Tuccio il 5 agosto e nonostante il grande ritardo mettemmo su un’ottima squadra. Eravamo primi in classifica alla decima giornata e tutti parlavano del “miracolo Gela”. Ad un certo punto si ruppe qualcosa. Mi riferisco all’aggressione subita dal nostro giocatore Rocco D’Aiello dopo la sconfitta a Vibo Valentia. Quell’episodio ha segnato una stagione intera. Non abbiamo avuto la personalità di assumere decisioni impopolari: mandare via qualche elemento destabilizzante all’interno del gruppo che però aveva credito nella tifoseria. Non volemmo creare ulteriori frizioni. A volte, però, bisogna prendere decisioni difficili e impopolari, ma bisogna farlo!”
L’anno dopo, in C1 (Lega Pro Prima Divisione), il Gela chiuse al dodicesimo posto. Si poteva fare di più?
“No, quell’anno abbiamo fatto il massimo! Alla fine del girone di andata, il presidente volle ridurre i costi perché erano sorti seri problemi con il Comune. Problemi che poi portarono alla non iscrizione di fine anno. Mandammo via oltre dieci giocatori importanti (Stamilla, Franciel, Piva, Cruciani, D’Amico tanto per fare qualche nome). Tutti ci davano per spacciati, già retrocessi. L’avvento di mister Ammirata, dopo le dimissioni di Provenza, portò serenità all’ambiente e riuscimmo, contro ogni previsione, a salvarci con un manipolo di giovani. Determinati furono i leader, a differenza di quelli dell’anno precedente. Gente come Nordi, Cardinale, Docente e altri furono dei veri e propri eroi!”
A Gela, qual è stato il giocatore che ti ha particolarmente colpito per la sua classe?
“Non ho piacere a parlare di qualcuno in particolare, farei un torto a tanti altri”.
Da quale giocatore avresti voluto di più’?
“Penso che Emilio Docente poteva fare una carriera ancora più importante di quella che ha fatto”.
Cosa ti ha dato Gela?
“Tanto anzi tantissimo. Ho passato anni meravigliosi sia dal punto di vista umano, sia professionale. Mi pregio di avere tanti amici con i quali mi sento periodicamente. Sono stato benissimo assieme alla mia famiglia. Dieci anni sono tanti, non si dimenticano, mai! Non vedo l’ora che riaprano i confini regionali. Devo assolvere ad un mio desiderio…”
Quale?
“Non sono riuscito a salutare come volevo Angelo Tuccio. Avverto l’esigenza di andare dove riposa e stare un po’ con lui. Ne ho proprio bisogno. Non sono riuscito a stargli vicino quando ne aveva bisogno. La sua assenza per me è un vuoto incolmabile!”
Il calcio locale (dopo l’esclusione dal professionismo) sta ripartendo dai bassifondi. Secondo te, ci sono i presupposti per riportare in alto il vessillo gelese?
“Non conosco le realtà attuali e quindi non posso dare alcun giudizio. Gela ha vissuto tanti momenti bui e poi improvvisamente si è risvegliata. Ritengo che la chiusura del petrolchimico abbia creato gravissime difficoltà economiche, la pandemia poi ha fato il resto. Riprendiamoci nella vita di tutti i giorni e di conseguenza si riprenderà anche il calcio.”
Hai accennato alla pandemia. Il calcio al tempo del Covid. Gli stadi sono chiusi al pubblico. Manca l’essenza principale: il tifo. Come vivi questo momento?
“Stiamo vivendo un momento terribile, probabilmente il più difficile dopo la Seconda guerra mondiale. Sicuramente il peggiore per le generazioni nate subito dopo gli anni ‘60. L’assenza dei tifosi dagli stadi è sicuramente una cosa molto negativa, ma penso che sia passata in secondo piano perché le preoccupazioni che attualmente viviamo hanno messo in secondo piano questa problematica. Del resto le pay tv, le dirette facebook e i vari canali streaming hanno sicuramente mitigato queste “privazioni” .
Al di là dell’aspetto prettamente sportivo, la pandemia ha stravolto le abitudini di ognuno di noi. Anche la tua? E in quale misura?
“Sono stato privato del “contatto” umano che per un meridionale come me, è una grande privazione. Non poter “abbracciare” le persone care, stringere la mano agli amici, stare insieme per un aperitivo o una cena, sono cose che mi mancano moltissimo. Ma quello che più mi manca è la “libertà” di viaggiare, muoversi liberamente. Quello che fino ad un anno fa era la normalità, adesso è diventato un sogno”.
Adesso l’unica speranza è rivolta al vaccino. Ce la faremo?
“Non ho dubbi: ce la faremo! Come popolo abbiamo nel Dna questa grande capacità di risorgere, di aguzzare l’ingegno, di rimboccarci le maniche nelle difficoltà. Lo faremo anche questa volta e ne usciremo più forti e più determinati”.
La Calabria, regione in cui vivi, è stata sovente al centro di indagini giudiziari per comprovati legami tra chi amministra la cosa pubblica e il malaffare. Come si potrebbe interrompere definitivamente questo scellerato binomio?
“Io penso di essere il “prototipo” dell’italiano del Sud: sono nato in provincia di Napoli, mi sono sposato e risiedo in Calabria e ho lavorato per oltre 10 anni in Sicilia! Penso che più terrone di me ce ne siano pochi! In Calabria mancano due cose: la presenza forte dello stato proprio a livello numerico (magistrati, polizia, Carabinieri, esercito) e una seria cultura della legalità. Cultura che non si infonde con i seminari o con i sermoni di presunti esperti, ma va ricercata tra le persone normali: gli impiegati pubblici, i funzionari, i burocrati. Purtroppo un tuo sacrosanto diritto lo fanno diventare “un favore”. Questo è il vero problema del meridione d’Italia. La cultura del “favore”, del “non ti preoccupare”, dello “stai tranquillo ci pensa l’amico”: questi sono i tumori che frenano le nostre regioni. Questa è la nostra cultura deviata! Le scuole saranno determinanti. Oltre alle lezioni di italiano, storia, matematica andrebbero inserite abbondanti ore di una nuova materia: cultura della legalità! Solo così tra una ventina di anni avremo una classe dirigente e politica degna di una nazione civile”.
Sicilia e Calabria divise dal mare. Sei d’accordo alla realizzazione del ponte sullo Stretto?
“Assolutamente si! Sarebbe un grande passo in avanti per tutta la Sicilia, avvicinarla all’Europa non solo all’Italia. Darebbe inoltre migliaia di posti di lavoro per una decina di anni. Basterebbe inserire all’interno delle stazioni appaltanti, non burocrati inutili, ma tecnici e pezzi dello stato di alto livello a garantire la “pulizia” dei lavori”.
Perché hai scelto la professione del direttore sportivo?
“Sono nato con questa passione, ho iniziato facendo il giornalista: sono stato per anni il più giovane giornalista/pubblicista della Campania e, penso, il più giovane d’Italia!. Poi sono passato dall’altra parte della barricata entrando nel cuore delle società. Da una decina di anni faccio il direttore generale, il manager di una squadra di calcio. Penso che la vecchia figura del direttore sportivo non sia più attuale. La presenza dei procuratori ha cambiato le carte in tavola. Una società di calcio ha bisogno di un manager che abbracci l’attività a 360 gradi, non solo dal punto di vista prettamente agonistico. Chi lo ha capito, ha fatto la differenza!”
Se non avessi fatto il direttore sportivo, cosa avresti voluto fare nella vita?
“Se mi facevi questa domanda dieci anni fa, ti avrei risposto nient’altro. Oggi ti dico che avrei voluto fare l’imprenditore, creare imprese innovative. E’ un’esperienza che sto facendo e mi sta dando grandi soddisfazioni. Forse è la vecchiaia che incombe …”
Palermo e Catania in C1; Messina (con ben due squadre) in serie D. Parliamo delle società delle tre città più grandi della Sicilia. Quest’anno possono ambire al salto di categoria?
“Sicuramente una delle due squadre di Messina ritornerà tra i professionisti. Per Palermo e Catania mi sembra molto più difficile quest’anno”.
Esterofilia perenne nel calcio italiano. Perché invece non si punta sul vivaio nostrano?
“Le società importanti puntano molto sui vivai, ma chiaramente la globalizzazione ha fatto si che nei settori vi siano sia italiani che stranieri. E’ un normale processo, l’importante è che tutto si svolga con il rispetto delle regole”.
Il calcio potrebbe rappresentare il volano per un’intera comunità (tra diretto ed indotto), ma in pochi investono. Qual è la tua personale spiegazione?
“Il calcio è una vera e propria azienda e deve essere gestita come tale. Bisogna gestirla come una normale attività, facendo molta attenzione ai conti senza farsi travolgere dall’umore della piazza. Budget, investimenti e risultati non sempre si allineano, pertanto la presenza di un manager è diventata fondamentale”.
Chi è stato Diego Armando Maradona?
“Per noi napoletani un mito, un’icona, colui che ci ha dato la possibilità di guardare le grandi potenze del nord senza paura, senza timore, sapendo che finalmente non eravamo inferiori. La cultura nella vita di Diego ha avuto un aspetto fondamentale, la sua assenza gli ha fatto commettere tanti errori. Era un uomo buono, umile e soprattutto generoso, ma come tutti gli uomini con tanti difetti. Penso che più di un suo amico, o presunto tale, dovrebbe vergognarsi per quello che gli ha tolto o non gli ha ridato”.
Il tuo ideale di società modello?
“L’Udinese. Ogni anno conti economici e obiettivi tecnici vengono centrati. Tifosi, stadio di proprietà, scouting d’avanguardia. I friulani hanno tutto. In ambito europeo, sotto quest’aspetto, l’Ajax non ha eguali”.
Per chi tifi?
“Il mio cuore batte per la Juve Stabia e il Napoli”.
Domanda di routine per un uomo che vive di calcio: chi vincerà lo scudetto?
“Senza ombra di dubbio l’Inter. E’ la squadra più completa, sia a livello tecnico che motivazionale”.
E se lo dice un napoletano, senza tentennamento alcuno, produce un certo clamore…